Una prigione di velluto rosso
tratto da Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov e Cecenia, il disonore russo di Anna Politkovskaia
con Andrea de Goyzueta, Giovanni Del Monte, Stefano Guarente, Francesco Guarino, Fabio Rossi, Massimiliano Rossi, Simone Spirito
allestimento scenico Roberto Crea
disegno luci Sara Cangemi
montaggio audio Dario Della Monica
realizzazione costumi Iolanda Lettieri
progetto Andrea de Goyzueta e Fabio Rossi
adattamento e regia Pino Carbone
debutto > 31 marzo 2005
Teatro Elicantropo - Napoli
Il 26 ottobre 2002, alle 4,30 del mattino, le forze speciali russe del gruppo Alpha ricevono l’ordine di fare irruzione nel teatro Dubrovska, alla periferia di Mosca, dove un commando ceceno tiene in ostaggio 922 persone. L’azione è estremamente rapida, ma il risultato devastante. A morire non saranno soltanto i sequestratori, 41, ma anche un buon numero di ostaggi, 128, di cui solo cinque per ferite da arma da fuoco, tutti gli altri a causa del misterioso gas utilzzato dalle forze di sicurezza per il “salvataggio” nel corso del blitz.
Le immagini di quella tragedia, i corpi delle ragazze del commando, velate di nero, abbandonate sulle sedie rosse della sala come addormentate, così come quelle delle vittime civili, uniti da una sempre più sottile distinzione tra ostaggio e terrorista, rispetto alla brutale esecuzione dello Stato, sembrano “mettere in scena”, con la forza e la chiarezza dell’evento, l’essenza della frattura epocale che si sta verificando: la morte della politica, di quella scienza che Aristotele definiva come “una ricerca intorno a ciò che dev’essere il bene”. E Come all’inizio del suo secolare percorso, anche oggi la tragedia del potere si rappresenta in un teatro.
(La politica perduta di Marco Revelli - Giulio Einauidi editore)
E’ fondamentale rispondere subito alla domanda: “Dove ci troviamo?”
Ci troviamo in un teatro, in luogo chiuso, dove l’irreale occupa lo spazio e lo condivide con la realtà. Si alternano, si mescolano, si contrastano.
Un diavolo può trasformarsi nel capo di un commando terrorista, un gatto nero in una donna kamikaze, un direttore di un complesso di appartamenti, corrotto, in un maiale. Ceceni e russi, uccisi dai gas ( ? ) in improbabili danzatori, costretti a muoversi con grande fatica, minacciati da un suono, da una musica. Tutto in uno spazio compresso, claustrofobico, chiuso dall’interno. Neanche le idee, i pensieri, hanno il permesso di uscire da questa prigione, dove i carcerieri soffrono, rischiano, hanno paura e fame come i prigionieri.
Nulla può uscire, allora tutto avviene all’interno e la forza di quanto avviene sembra premere contro le pareti. Ogni gesto appare troppo forte. Si urla il nome di un compagno morto “decapitato”, come se il suono potesse uscire.
I caratteri si esasperano e i volti sembrano gonfiarsi, diventando caricaturali, mentre i personaggi si trasformano in allegorie. Il potere è un bambino capriccioso, l’inettitudine è una timida e ubriaca maschera di un teatro che si sta sgretolando, un poeta viene rinchiuso in una “clinica” e un mutilato trattiene a fatica il suo rancore.
Il tutto ha bisogno, però, di un punto di partenza, di un’ambientazione, di personaggi. La visionaria immaginazione di M. Bulgakov è un deposito da cui attingere, un baule teatrale, pieno di costumi, trucchi, caratteri. Bulgakov decide di entrare in un teatro per sconvolgere l’ordine pubblico. Anna Politkovskaia è costretta ad entrare in un teatro, dove l’ordine pubblico è già stato sconvolto da un commando terrorista ceceno.
I due testi, Il Maestro e Margherita e Cecenia, il disonore russo, scelti per lo spettacolo sembrano intrecciarsi.
Ovviamente non tentiamo di spiegare le ragioni o raccontare le dinamiche, ma semplicemente di vivere e trasformare una determinata condizione. Uno spettacolo è stato interrotto da guerriglieri ceceni. L’occupazione di un teatro è stata interrotta da forze speciali russe con del gas.
I motivi si perdono in più di trecento anni di storia russo-cecena.
Pino Carbone
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